3f-Età per diventare Certosino.

ce5e2-dsc0124          L’ORDINE     CERTOSINO.

Il limite di età esiste, inferiore (20 anni) è rigoroso e praticamente non derogabile, il limite superiore (45 anni) può essere derogato, ma solo dal Capitolo Generale dell’Ordine o dal priore della Chartreux (cioè della casa madre). Nella regola certosina, c’è un’esortazione a questo ascolto fraterno: “Se non siamo d’accordo con un altro (perché questo capita anche tra i monaci), sappiamolo ascoltare, e cerchiamo di capire il suo modo di vedere, affinché in tutti divenga più stretto il vincolo della carità” (Statuti, 22.13).  
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La separazione dal mondo si realizza mediante la clausura. Nella quiete contemplativa. Preghiera e lavoro si succedono secondo un ritmo immutabile, seguendo il corso dell’anno liturgico e delle stagioni. I certosini vivono una vita di preghiera incessante e di lavoro nella solitudine delle celle del chiostro.Il cammino per diventare monaco è lungo e impegnativo: dopo l’anno di postulato, se la vocazione trova conferma, si veste l’abito certosino e si comincia il noviziato che dura due anni. Si pronunciano quindi i voti temporanei per tre anni, poi rinnovati per altri due. A questo punto c’è la professione solenne con la quale il monaco s’impegna per sempre davanti a Dio e davanti alla Chiesa. I certosini escono insieme dal monastero solo per lo “spaziamento” (una passeggiata comunitaria settimanale).

Il Monaco che appartiene all’ordine dei certosini fondato  da st. Bruno o Brunone nel 1084, entra nella regola che prescrive una vita di preghiera, di lavoro conventuale e di contemplazione del Dio Uno e Trino.  Solitudine esteriore e interiore per superare i propri pensieri inutili e le oscillazioni della propria sensibilità, per apprende a poco a poco ad avere « …familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie», come si legge negli statuti della regola certosina. 

Il certosino svolge una vita eremitica e qualche volta anche cenobitica e, nella vita comunitaria i monaci che vestono una rozza tonaca di lana bianca, con cintura di cuoio e scapolare con cappuccio, entra nella quiete contemplativa, dopo essersi cimentato nello sforzo di una dura lotta, sia mediante le austerità nelle quali persiste per la familiarità con la Croce e il monaco perviene all’unione intima con Dio.

Il suo cuore e il suo spirito sono purificati nel crogiolo dell’ascesi. Unione di uomini solitari che vivono in  piccola comunità dentro un monastero conventuale, chiamato Certosa.  La famiglia certosina  esprime la sua  Fede in Cristo, nella liturgia che viene celebrata in comune.“Il monaco deve praticare prima di tutto l’umiltà, perché questo è il primo comandamento del Salvatore; egli ha detto infatti: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Giovanni della Tebaide).

(nella foto La Messa, la  festa dei frati e dei Confessori).

Nel monaco certosino il senso della comunione universale in Cristo. La sua solitudine, scelta per Dio che è amore, non può essere che comunione, comunione con i fratelli compagni di vita all’interno del monastero, comunione universale ed amore di tutti gli uomini nella loro più diversità.

Si diventa fratello di ogni uomo, aprendo il cuore senza limiti.

Il nostro padre san Bruno ha vissuto la sua esperienza monastica a contatto con i monaci greci là presenti. Il contesto storico era molto delicato per quanto riguarda le relazioni tra latini e greci; la divisione del 1054 era recente ed era in corso un progetto di latinizzare la Calabria. Ancora oggi la nostra regione è terra dalle molteplici ricchezze spirituali. La nostra Certosa essendo situata sulla terra dell’antica Chiesa greca, consideriamo fondamentali le relazioni che la nostra comunità ha stabilito con il monastero greco-ortodosso di San Giovanni Therestis.

Meditiamo  il versetto dell’Alleluia : “Beato l’uomo che supera le sue prove : dopo aver dato la prova della sua virtù, egli riceverà la vita eterna”. “Virtù”, “Vita eterna”.

Monaci del chiostro e fratelli, come segno dell’amore del Padre celeste, e uniti in Cristo in modo da formare un’unica famiglia, secondo l’espressione di Guigo:                                                     una     chiesa          certosina.

La clausura del monastero, per ogni monaco nella sua cella, protegge un luogo di solitudine e di silenzio perché l’ascolto del cuore possa affinarsi e purificarsi.

 

Il monaco solitario non esce se non per le occasioni previste dalla regola dell’Ordine e rimane in clausura  che è anche quella del suo cuore, il solo che dà senso a tutta l’esistenza dell’uomo in Cristo.

Intimità di vita col Padre misericordioso, rivelato pienamente come tale dal suo Figlio Cristo crocifisso guardato dall’alto dal Padre,  quel Padre che attrae a sé, nella forza dello Spirito d’amore. Tutti i figli di san Bruno sanno che la partecipazione alla vita divina si sviluppa concretamente come un’ intesa esperienza pasquale di morte e di risurrezione, scandita cioè dal sacrificio di sé nella nuda fede.

Come ci rivela San Bruno, il mite dalla gioia provata nei doni elargiti dallo Spirito Santo, entrando nel deserto con sei compagni, seguiva le orme di quegli antichi monaci che si erano totalmente consacrati al silenzio e alla povertà di spirito. Fu, tuttavia, grazia propria dei nostri primi padri l’aver introdotto in quella vita una liturgia quotidiana che, pur rispettando l’austerità della vocazione eremitica, associava in maniera più espressiva detta vita all’inno di lode che Cristo, Sommo Sacerdote, ha affidato alla sua Chiesa. Come nelle sinassi degli antichi monaci.

L’età minima per essere accolti nella Certosa è di 20 anni, ma l’ideale è avere un’età compresa tra i 23 e i 35 anni.

Oltre questa età è più difficile essere accolti, poiché per le persone “anziane” è più difficile l’adattamento a questa particolare forma di vita monastica.

In Certosa,oggi,difficilmente si entra prima dei 23 anni anche se si tende ad avere maggiore elasticità sul fronte opposto nel senso che esistono casi di uomini ammessi al di sopra dei 45 anni,nonostante gli Statuti prevedano tale età come limite massimo per l’ingresso.

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Per Consuetudine non ricevono visite; non hanno né radio, né televisione. Solo il priore riceve le notizie e comunica ai monaci ciò che non devono ignorare. La cella consiste in una minuscola casa circondata da un giardinetto: qui il monaco trascorre da solo gran parte della giornata, per sempre.

Nei giorni feriali il monaco esce di cella soltanto tre volte per le liturgie comuni in chiesa: nel cuore della notte per l’Ufficio notturno, al mattino per l’Eucarestia e verso sera per i Vespri. Solo alla domenica il pranzo è consumato, in silenzio, insieme agli altri monaci.

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La famiglia certosina

Una comunione di solitari

Al suo arrivo al deserto di Chartreuse, san Bruno aveva sei compagni; tutti cercavano la solitudine per applicarsi all’intimità con Dio nella vita contemplativa, ma tutti erano ugualmente decisi a rimanere insieme, riuniti attorno a Bruno. Così, fin dall’inizio, si trova delineata la formula così tipica della vita certosina: unione di solitari in una piccola comunità.

Questa caratteristica specifica della certosa si è conservata attraverso i secoli e l’Ordine ha sempre avuto la convinzione che questo patrimonio viene da Dio.

I certosini sono dei solitari riuniti come fratelli; la comunità che formano è relativamente piccola a ragione della loro stessa vocazione eremitica; così si parla facilmente di «famiglia certosina». L’unità fra i monaci è prima di tutto ed essenzialmente di ordine spirituale: essi sono «riuniti dall’amore del Signore, dalla preghiera e dal desiderio ardente della solitudine». Più profondamente, questa unità è spirituale perché è opera dello Spirito Santo, che «raduna gli amanti della solitudine così da farne una comunione nell’amore.

Tuttavia questa comunione fraterna si esprime anche in maniera visibile e concreta in momenti particolari, principalmente nella liturgia celebrata in comune, ma anche in occasione di incontri come gli spaziamenti e le ricreazioni; allora tutti hanno la gioia di ritrovarsi insieme. Questi incontri regolari permettono ai fratelli di conoscersi meglio e di meglio amarsi, al fine di aver tutti un solo cuore e un’anima sola.

Conversi e donati

Tra i primi compagni di Bruno, quattro erano chierici e furono i primi padri; gli altri due erano laici e furono i primi fratelli, chiamati anche conversi. Tutti cercavano l’unione con Dio nella solitudine, ma secondo modalità diverse.

La vocazione di converso, nata a metà del secolo XI tra gli eremiti, fu dapprima concepita come una forma di vita religiosa destinata a proteggere la solitudine di eremiti isolati in celle, ma senza che i fratelli fossero essi stessi solitari. Fu invece diverso all’origine della certosa, alla fine dello stesso secolo: i fratelli proteggevano sì la solitudine dei padri, ma la loro stessa solitudine era a sua volta protetta dal fatto che vivevano all’interno del «deserto». Per più secoli la loro abitazione fu separata da quella dei padri, ma oggi abitano nello stesso monastero.

Ai conversi si è aggiunto con l’andar del tempo un altro gruppo, quello dei donati. All’inizio semplici operai aggregati al monastero e tenuti ad alcune preghiere, i donati diventarono in seguito dei monaci con l’abito e con una vita simile a quella dei conversi. Tuttavia non si vincolano con voti, ma, per amore di Cristo, «si donano» al monastero promettendo di servire Dio di tutto cuore. I donati hanno delle regole proprie, meno rigorose di quelle dei conversi, il che permette di adattarle alle necessità di ciascuno, nel rispetto della propria via personale. Per esempio, non sono tenuti a partecipare all’ufficio notturno.

Padri e fratelli.

Le prime comunità certosine, «come un corpo le cui membra non hanno tutte la medesima funzione», furono dunque formate dall’unione di due elementi distinti, ma complementari e inseparabili.

La vita dei padri e quella dei fratelli sono nettamente differenti. I padri, o monaci del chiostro, vivono nel segreto della cella; essi sono sacerdoti o chiamati a diventarlo. I fratelli, o monaci laici, consacrano pure la loro vita al servizio del Signore nella solitudine, ma con una parte di lavoro manuale più importante di quella dei padri; essi si dedicano alle opere materiali indispensabili per permettere a tutti di vivere l’ideale contemplativo nel deserto; d’altra parte la solitudine dei fratelli è ben reale ma ha un carattere differente da quella più eremitica dei monaci del chiostro. Ciascuna delle due forme di vita risponde ad una chiamata particolare dello Spirito Santo e ad attitudini diverse, al punto che chi è adatto all’una non sempre lo è per l’altra.

Tuttavia questi due generi di vita non costituiscono delle entità indipendenti, ma sono unite, poiché «padri e fratelli condividono la stessa vocazione»; hanno in comune il medesimo ideale. Gli uni e gli altri, «conformi a Colui che non venne per essere servito ma per servire, manifestano in vario modo le ricchezze della vita totalmente consacrata a Dio nella solitudine».

Se si intende facilmente che i fratelli compiono un servizio riguardo ai padri, è altrettanto vero che questi sono al servizio dei fratelli. Nella famiglia certosina i diversi membri si sostengono a vicenda. «I padri dipendono dai fratelli per poter offrire al Signore una preghiera pura nella quiete e nella solitudine della cella»; senza i fratelli, la vocazione dei padri non potrebbe mantenersi. Parimenti la vocazione solitaria dei fratelli, minacciata dall’inevitabile contatto con l’esterno, non potrebbe persistere a lungo se non si appoggiasse alla solitudine dei padri e alla loro assistenza spirituale. C’è dunque tra padri e fratelli uno scambio di servizi visibili e invisibili. Ai padri che rischierebbero di isolarsi in una torre d’avorio o di darsi a eccessive speculazioni, i fratelli rammentano il valore spirituale della semplice vita della casa di Nazaret. Ai fratelli che possono essere tentati di lasciarsi prendere troppo dall’azione, i padri ricordano il primario valore dell’amicizia in Cristo della casa di Betania, nel conservare sempre lo sguardo e l’ascolto fissi su di Lui.

Ciascuno dei due gruppi assume dei compiti che l’altro non potrebbe intraprendere senza alterare la funzione che ha nell’insieme; ciascuno apporta alla certosa un carattere specifico essenziale, al punto che essa non potrebbe più essere se stessa se uno dei due venisse a mancare. Per questo la vita certosina non si definisce né partendo da quella dei padri né da quella dei fratelli; essa è costituita da questi due generi di vita riuniti.

Questa interdipendenza nella diversità è, per gli uni e per gli altri, un potente stimolo a vivere nella mutua carità e nell’umiltà. D’altronde è questo l’invito che gli Statuti, facendo eco alle parole di S. Paolo, indirizzano ai monaci: «Gareggiando nello stimarsi a vicenda, padri e fratelli vivano nella carità che è il vincolo di perfezione, il fondamento e il culmine di ogni vita consacrata a Dio».

La vita dei padri

Il padre certosino conduce una vita essenzialmente solitaria, giacché nei giorni ordinari non esce dalla cella che per recarsi in chiesa, e per tutto il resto del tempo è solo.

Tuttavia questa vita solitaria non è una vita d’isolamento egoista che porterebbe facilmente ad uno spirito d’indipendenza che negherebbe la nozione stessa di vita monastica. Il certosino ha fatto solenne voto di obbedienza; tutta la sua vita, anche quando è solo, deve esserne segnata, perché, nella fede, è a Dio stesso che vuole sottomettersi quando si lascia umilmente guidare dagli Statuti e dalla parola del suo priore.

«Ad esempio di Gesù Cristo che è venuto per fare la volontà del Padre e che, assumendo la condizione di servo, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, il monaco con la professione si sottomette al priore, che rappresenta Dio, e si sforza di conseguire la misura che conviene alla piena maturità di Cristo».

La parte di vita comunitaria

Il certosino non è un eremita puro. La vita strettamente eremitica, piena di difficoltà e di pericoli, non può essere che di un numero di anime molto ristretto. San Bruno ha saputo inventare un modo di vita che usufruisce dei vantaggi della vita eremitica e non ne teme i pericoli, grazie ad una saggia fusione degli elementi essenziali della vita eremitica e di quella cenobitica.

Sant’Ugo si è sentito attratto all’Ordine certosino da questa vita saggiamente composta di solitudine e vita fraterna: «Ugo era affascinato dal quadro di vita offerto in Certosa per attendere a Dio solo: come ausilio potente a questa divina attività c’era una gran ricchezza di libri, abbinata a copiosa possibilità di lettura e all’indisturbata quiete per l’orazione. Ma più che la disposizione del monastero, attiravano i monaci: il loro corpo austero, la mente serena, il cuore libero, la letizia del volto e la purezza del dire. La regola invitava i monaci alla solitudine, ma non all’eccentricità; le celle erano separate, i cuori uniti. Ognuno abitava da solo, senza possedere nulla in proprio e nulla facendo per spirito d’indipendenza. Pur restando in solitudine, tutti costituivano una comunità: vivendo da solitario, ogni monaco non inciampava negli svantaggi del contesto sociale, benché una certa vita comune gli garantisse il conforto dei fratelli. Questi e altri aspetti piacevano a Ugo, ma soprattutto egli apprezzava il sicuro baluardo dell’obbedienza (senza di cui molti eremiti sono lasciati a se stessi, esposti a eccessivi pericoli); perciò quella vita lo seduceva, anzi lo estasiava.

Durante la settimana i padri si radunano tre volte al giorno in chiesa: per il Mattutino, per la messa conventuale e per i Vespri (come si dirà più avanti). Le domeniche, e i giorni di festa di una certa importanza, cantano in coro tutto l’ufficio (eccetto Prima e Compieta), prendono il pasto di mezzogiorno in refettorio e hanno una ricreazione nel pomeriggio, tra Nona e Vespri. Infine escono in spaziamento una volta la settimana.

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LA GIOIA DI ESSERE anche MONACA CERTOSINA

Santa Roselina di Villeneuve  Vergine e monaca certosina.

La monaca certosina, un’eremita integrata in una famiglia monastica.
 
Se pensi che il Signore ti chiami a vivere una vita contemplativa nella solitudine di un monastero, come monaca certosina, il link potrà esserti di aiuto nel tuo discernimento vocazionale per fare dell’eremo un luogo privilegiato di comunione.

http://www.vocatiochartreux.org/LA%20GIOIA%20DI%20ESSERE%20MONACA%20CERTOSINA.html

realizzato da Anicec 2016 di Gerardo   Madonna.

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